“Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più”
Durante gli ultimi mesi dell’anno di grazia 1959, il Liverpool Football Club arrancava a metà della colonna di sinistra della Second Division.
E per una città che vive di calcio dalla mattina alla sera ciò poteva sembrare una particolare forma di paradosso: visto l’alto tasso di disoccupazione che stava trasformando le periferie di Liverpool in una polveriere sociale, il fatto che un club tanto amato fosse relegato così in basso la diceva lunga su quella che era la situazione, a trecentosessanta gradi, sulle sponde del Mersey.
Per risollevare la situazione (calcistica) della città, venne chiamato un burbero scozzese originario dell’East Ayrshire che per anni aveva militato con alti e bassi nelle fila del Preston North End.
William Shankly era il suo nome, e venne scelto proprio per la rigidità del metodo lavorativo: disciplina, obbedienza, meccanicismo e dedizione totale alla causa. Tutti elementi che, al Liverpool, erano venuti a mancare nel corso del tempo, con la conseguente caduta in disgrazia del club. L’opera di ricostruzione di Shankly fu meticolosa, basata su di una costante e quasi maniacale cura del dettaglio, sia sulla tattica, sia sulla tecnica, sia sull’atletica.
Per accentuare ancora di più il senso di appartenenza alla maglia reds, lo scozzese iniziò ad inserire in prima squadra – in maniera graduale – diversi ragazzi provenienti dalle giovanili. I risultati iniziarono ad arrivare all’incirca 3-4 anni dopo, quando il Liverpool si guadagnò finalmente la promozione in First Division.
Ed è proprio nel bel mezzo dei “favolosi” Sessanta che la storia iniziò ad essere riscritta in maniera indelebile. Dopo un paio di stagioni vissute in crescita costante, Il Liverpool Football Club giunse infatti alla conquista del titolo di campione d’Inghilterra.
La squadra si esprimeva con una foga agonistica sublime, una furia incessante e martellante frutto dei metodi di lavoro spartani di Bill Shankly.
Il Liverpool metteva in pratica quello che poi venne definito il sistema di gioco alla “britannica”, fatto di pressing feroce, tackle proverbiali, sovrapposizioni costanti sulle fasce, scambi di prima con la palla a terra. Non bisogna vergognarsi nell’affermare che Bill Shankly “fece scuola”. Quello da lui messo in pratica in First Division fu un modello di giuoco che ancora oggi resiste, e che ha vinto il tempo con tutta la lucidità ed il sentimento che lo scozzese tirò fuori in quell’irripetibile età dell’oro.
Il resto dei successi di Shankly arrivò come inevitabile conseguenza della sua dedizione alla causa. Altri due campionati, due FA Cup, una Coppa UEFA. Il Liverpool salì quindi al ruolo di potenza continentale, ed iniziò ad essere temuto da italiani e tedeschi in fase di sorteggio.
Eccellente fu la prestazione dei reds contro la Grande Inter del “mago” e di Angelo Moratti, che però non bastò ad evitare al Liverpool la capitolazione contro i meneghini in Coppa dei Campioni.
Una sconfitta bruciante, al pari di quella in finale di Coppa delle Coppe contro il Borussia Dortmund. Ma ai tifosi del Kop le sconfitte importavano relativamente: il Liverpool era rinato, e lo aveva fatto nel modo più suggestivo possibile.
Il contributo di Shankly alla città va ben oltre i risultati sul campo e le coppe alzate al cielo. Ciò che veramente rende speciale quest’uomo (e non solo in quel di Liverpool) è il fatto che sia riuscito a creare una profonda comunione d’intenti tra i calciatori reds e la working class delle periferie povere del Mersey. Bill Shankly contribuì a portare alla luce un orgoglio di appartenenza che per troppo tempo era stato assopito, aiutò gli uomini e le donne locali a rialzare la testa in un periodo in cui la floridità era solo un’illusione.
Quando, durante un giro di campo, un tifoso gli tirò una sciarpa e la stessa venne raccolta e gettata in terra da un addetto ai lavori, il burbero scozzese fece quel gesto che rimane ancora oggi nell’immaginario collettivo di ogni tifoso di calcio, indipendentemente dai colori.
Bill Shankly raccolse la sciarpa e la indossò con fierezza, indirizzando con decisione a quell’uomo una frase storica. Quella che per altri è solo una sciarpa, per un ragazzo è la vita. E fu così che ascese al ruolo di totem.
Il suo metodo da picconatore divenne in breve tempo il modus operandi di tutta la gente che aveva voglia di lavorare con onestà e, cosa più importante ancora, che lo faceva con allegria. Perchè, come recita la statua posta dinnanzi ad Anfield, Shankly “rese felici le persone”.
Nonostante la sua morte, avvenuta nel 1991, Bill Shankly viene considerato immortale dalla città di Liverpool. Ed effettivamente è così davvero.
Gabriele Fumi
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