FOCUS – 1992, INIZIA UNA NUOVA ERA: NASCE LA PREMIER LEAGUE

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Inauguriamo oggi una nuova rubrica, che vi terrà compagnia ogni settimana, sul massimo campionato inglese. L’obiettivo è quello di ripercorrere e rivivere insieme in ogni puntata una stagione della Premier League, a partire da quel 1992 in cui tutto ebbe inizio. In questo primo appuntamento scopriremo i motivi per i quali si arrivò alla nascita della Premier e i cambiamenti radicali che seguirono tale evento.

Siamo nel 1992. L’Inghilterra è alle prese con una forte recessione economica che ha portato ad un tasso di disoccupazione raramente così alto. Gli animi popolari sono caldi, per usare un eufemismo. Il partito conservatore vince le elezioni e si appresta a governare il paese per il tredicesimo anno consecutivo; al numero 10 di Downing Street, tuttavia, non c’è più la leggendaria ‘lady di ferro’ Margaret Thatcher, bensì John Mayor. La vittoria dei Tories risulta anche piuttosto larga: ben sette punti in più rispetto ai laburisti di Neil Kinnock. L’atmosfera inglese però è terribilmente cupa, grigia. I Blur e gli Oasis si sono formati da poco tempo, rispettivamente 1989 e 1991, e serve ancora qualche anno prima che permettano alla musica brit di tornare sul tetto del mondo ergendosi a simboli di una rinascita che coinvolgerà l’intero tessuto sociale nazionale.

Il calcio, ovviamente, non può essere altro che un mero specchio della deprimente situazione del paese. Dopo i fasti vissuti a cavallo tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, infatti, il football vive un periodo di bassissimo interesse dovuto principalmente a due eventi terribili, ormai tristemente noti: la tragedia dell’Heysel (1985) e quella di Hillsborough (1989). Gli stadi giacciono in condizioni vergognose e il fenomeno degli hooligans si trova al culmine della propria potenza; scontri e cori razzisti negli impianti sono infatti un triste ritornello a cui gli inglesi sono costretti ad assistere ogni weekend. L’immagine che il calcio britannico fornisce di sé all’estero, pertanto, è più che semplicemente negativa.

I vertici del calcio anglosassone decidono così di adoperarsi per riportare in auge l’intero movimento. La First Division, il massimo campionato inglese, non si avvicina neppure minimamente alla qualità presente nella Serie A dominata dal grande Milan di Sacchi prima e Capello ora o nella Liga del super Barcellona di Crujff. La strada, quindi, è tutta in salita. Gli unici segnali positivi, in ambito calcistico, recentemente sono stati offerti da due eventi: il buon cammino della nazionale ai Mondiali italiani del 1990, quarto posto finale per la selezione guidata da Bobby Robson, e la vittoria della Coppa delle Coppe da parte del Manchester United sul Barcellona nel 1991, primo successo internazionale nella gloriosa carriera mancuniana di Sir Alex Ferguson.

Dal punto di vista dei provvedimenti governativi, invece, qualcosa inizia a muoversi grazie al Rapporto Taylor. Preparato dopo il disastro dell’Hillsborough, esso decreta in primis la fine dei posti in piedi negli stadi inglesi. Seguendo questo percorso, il costo dei biglietti si alza inevitabilmente ma le squadre sono obbligate a cercare di finanziarsi senza contare quasi unicamente sulle entrate provenienti dalla vendita dei biglietti. Il fattore economico spinge, quindi, in modo decisivo verso grossi cambiamenti. I diritti televisivi iniziano a rappresentare una golosissima prospettiva di guadagno per le squadre della massima divisione inglese, che hanno tutto l’interesse a contrattare separatamente, rispetto ai club delle divisioni inferiori, il prezzo per la vendita dei diritti che consentono di trasmettere gli incontri in esclusiva. Tale decisione viene motivata con l’assoluto bisogno di far crescere i club inglesi, rendendoli competitivi come quelli degli altri principali campionati europei. La pioggia di denaro pronta ad essere divisa tra i club della massima divisione consentirebbe loro, infatti, di lottare per potersi accaparrare quei grandi campioni che da diversi anni a questa parte hanno preferito scendere in campo in altri paesi europei.

Si arriva, così, all’incontro decisivo. Greg Dyke, rappresentante della London Weekend Television, si siede al tavolo insieme alle cinque grandi del calcio inglese (Manchester United, Arsenal, Tottenham, Liverpool ed Everton). Si dibatte, si tratta e alla fine si arriva alla storica decisione: la First Division saluta tutti dopo oltre un secolo e nasce la Premier League. Si tratterà di una lega autonoma rispetto alle tre che continueranno a fare parte della Football League e che proprio per questo contratterà separatamente e dividerà gli introiti dei diritti televisivi solo tra le squadre attive in quella lega. I club di First Division lasciano in massa la Football League verso la fine del campionato 1991/1992, con 22 squadre che decidono di ritirarsi al termine della stagione e di creare un campionato che sia maggiormente libero e privo di vincoli contrattuali. Ogni squadra potrà dunque decidere il meglio in base ai propri interessi. Tale comportamento lascia ovviamente perplessi, nonché infuriati, i dirigenti della Football League, che si ritrovano dunque sostanzialmente senza squadre. Alla fine verrà raggiunto un nuovo accordo: le 22 squadre ‘dimissionarie’ formeranno il campionato massimo inglese, ovvero la Premier League, mentre le restanti si ritroveranno a dover partecipare ad un secondo campionato, ovvero la nuova First Division (dal 2004/2005 nota con il nome di Championship). I meccanismi di promozione e retrocessione tra Premier League e nuova First Division rimangono comunque invariati.

Le prime 22 partecipanti ai nastri di partenza per la stagione 1992/1993 saranno: Arsenal, Aston Villa, Blackburn Rovers, Chelsea, Coventry City, Crystal Palace, Everton, Ipswich Town, Leeds United, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Middlesbrough, Norwich City, Nottingham Forest, Oldham Athletic, Queens Park Rangers, Sheffield United, Sheffield Wednesday, Southampton, Tottenham Hotspur e  Wimbledon. La rivoluzione è iniziata: ready, steady, go!

Matteo Luciani